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Marini

La storia della Chiesa e della parrocchia di S. Marco di Salvatore Milano
Nella seconda metà del Cinquecento, nel casale di Marini, i documenti ci testimoniano della presenza della cappella dedicata all’Evangelista S. Marco, eretta a cura degli abitanti dello stesso casale, per favorire “il culto divino” (considerata la distanza dalla chiesa parrocchiale di S. Nicola di Dupino).

Il 30 settembre 1571 i notabili del luogo incaricano gli honorabili Giovanferdinando De Sio e Pietrangelo Di Lieto della cura degli interessi Cappelle Santi Marci construtte intus dittum casale de li Marini.

Di fronte alla cappella, nel maggio 1573, fu realizzata, a cura di alcuni esponenti delle famiglie De Marinis, De Sio, Di Lieto e Giordano, una fontana alimentata da un acquedotto proveniente da una sorgente di Alessia.

Questo originario luogo di culto corrisponde ora alla cappella all’interno della chiesa parrocchiale, dove è esposto il dipinto della Madonna di Costantinopoli tra i santi Francesco d’Assisi e Carlo Borromeo, evidentemente realizzato poco dopo il 1610, anno della canonizzazione del santo arcivescovo di Milano.

Nel dicembre 2008 il provvidenziale abbattimento di una parete ha reso possibile un diretto collegamento di questa cappella con la nave maggiore della chiesa.

Nell’aprile 1619, 47 abitanti del casale – di cui 21 sottoscrivono col proprio nome e 26 col segno di croce – elevano una petizione al vescovo di Cava, Cesare Lippi da Mordano, per ottenere il permesso di radunarsi in una cappella costruita da poco. Con questa assemblea, nella quale i De Sio e i De Marinis rappresentano circa i tre quarti dei partecipanti, si viene a costituire il primo nucleo della futura Confraternita dei Santi Filippo e Giacomo.

Questa seconda cappella corrisponde, come si vedrà, all’attuale cappella del Crocifisso.

I documenti ci mostrano la ferma intenzione degli abitanti di Marini, e precisamente delle due maggiori famiglie, di assegnare alla piccola cappella di S. Marco una rendita sufficiente per permettere la presenza costante di un sacerdote, con l’obiettivo di farla elevare a chiesa parrocchiale.

Si citano a tal proposito i due legati del febbraio 1624 di Antonia De Marino di ducati 50 e di Mattea De Sio, vedova di Filippo Gaudiosi, del gennaio 1625 di 20 ducati, finalizzati a costituire una rendita a favore della cappella per le esigenze del culto.

La loro aspirazione fu pienamente conseguita nel 1625 in occasione della visita pastorale del vescovo Matteo Granito che, con sua bolla del 9 novembre, decretò la erezione della nuova parrocchia distaccandola da San Nicola di Dupino.

Ottenuta l’autonomia parrocchiale, gli abitanti del casale Marini, sotto la guida del parroco De Marinis, tre anni dopo (1628) realizzarono la chiesa, nella forma attuale, affiancandola alle due cappelle preesistenti, come ci riferisce il canonico Andrea Carraturo (1739-1807) in una nota a margine del manoscritto dell’anonimo storico di Cava.

L’elaborata decorazione interna è perfettamente dissimulata all’esterno dell’edificio, che mostra sobri caratteri settecenteschi solo sulla facciata.

Interessante è l’insolita torre scalare dal caratteristico volume cilindrico. Quasi certamente il progetto e la direzione dei lavori dell’edificio di culto è da attribuire ai due “capomastri” e tavolari Perseo e Giov. Antonio (1593-1666) de Marino, padre e figlio, che erano le più esperte maestranze cavesi nell’arte muraria, residenti nel casale Marini, la cui casa confinava proprio con la parte absidale della chiesa.

È da presumere che i lavori di completamento della chiesa fossero ultimati nel 1659, data degli affreschi nella volta della nave maggiore, del transetto e dell’abside.

In quanto all’autore si può avanzare molto cautamente un’ipotesi, suffragata da qualche flebile confronto, cioè che lo si possa individuare in quel Michele Ragolia, palermitano, emigrato a Cava fin dal 1656, che qui contrasse matrimonio nel 1657, vide nascere tre figli e vi abitò almeno fino al 1663, prima di trasferirsi a Napoli.

Sue pitture si conservano nelle chiese cavesi di S. Lucia e di S. Maria dell’Olmo.


 Le Opere

L’originario luogo di culto corrisponde alla cappella all’interno della chiesa dove è esposto il dipinto della Madonna di Costantinopoli tra i santi Francesco d’Assisi e Carlo Borromeo, evidentemente realizzato poco dopo il 1610, anno della canonizzazione del santo arcivescovo di Milano.

Questa primitiva chiesetta è una semplice aula di piccole dimensioni, molto probabilmente rifatta in occasione della costruzione della attuale chiesa.

La chiesa, secondo modalità analoghe a gran parte delle chiese cavesi (e del Regno), venne quasi completamente ridecorata nel XVIII secolo, con un intervento che risparmiò soltanto la volta affrescata.

L’intero ciclo pittorico si può collegare alla committenza della famiglia del vescovo Filippo De Sio, del quale si vede lo stemma in stucco nell’arco di trionfo.

Non dovette essere estraneo alla scelta iconografica lo stesso parroco Fulvio de Marinis, scomparso nel settembre 1661.
Il ciclo pittorico è datato e si deve riferire all’anno 1659, o almeno finito in quell’anno.

In quanto all’autore si può avanzare molto cautamente un’ipotesi, suffragata da qualche flebile confronto, cioè che lo si possa individuare in quel Michele Ragolia, palermitano, emigrato a Cava fin dal 1656.

Sue pitture si conservano nelle chiese cavesi di S. Lucia e di S. Maria dell’Olmo. Agli inizi del ‘700 la chiesa viene notevolmente trasformata, ad opera principalmente di personaggi della famiglia De Sio.

Nel 1701 viene concessa al mercante Tommaso De Sio la cappella gentilizia a sinistra dell’altare maggiore, che sarà dedicata al SS.mo Rosario.

Il dipinto del Rosario è firmato dal pittore Gioacchino Orgitano (Joachim Orgitano neapolitanus pingebat 1706), artista ancora poco conosciuto, della cerchia di Luca Giordano.

A partire dal 1713 fu rinnovato l’assetto dell’abside, con la creazione del nuovo altare maggiore ligneo e della “cona” che racchiude il dipinto su tela di San Marco, da ascrivere a una personalità formatasi alla scuola del Vaccaro. Infatti in quell’anno Nicola De Sio impegna il maestro Pietro Muscettola, coadiuvato dal fratello Simone, a realizzare l’altare, intagliato e indorato, che verrà sostituito in marmo nel corso del Settecento.

Anche la sepoltura dei confratelli della Congrega fu fatta a spese e per devozione del De Sio, come si rileva da un’altra iscrizione su lapide di marmo nella quale sono scolpiti quattro confratelli col sacco e cappuccio e recanti nelle mani la corona del Rosario: EX DEVOTIONE NICOLAI DE SIO ANNO REP. SAL. MDCCXVII Successivamente, nel 1751, la cappella sarà arricchita dell’altare di marmo a spese del dottor Francescantonio, figlio di Nicola, e realizzato dal maestro marmorario Felice Palmieri di Napoli, che ha lasciato numerosi e significativi lavori in marmo nelle chiese della diocesi di Cava, tra cui gli altari maggiori di S. Nicola di Dupino (1748-1750), di S. Nicola di Pregiato (1748-1751) e di S. Lorenzo (1750).

Anche al Settecento appartiene la statua lignea di San Marco, a mezzo busto, di pregevole fattura, e recentemente restaurata, che ancora oggi viene portata in processione durante la festa patronale.

Nella seconda metà del Novecento la chiesa – fenomeno comune a molte altre piccole realtà ecclesiali - ha conosciuto una fase di crepuscolo, con la perdita, per furti, di un cospicuo patrimonio artistico che ne costituiva la peculiare identità.

Ci si riferisce, in particolare, al trafugamento dalla congrega dell’intero coro ligneo in noce settecentesco, dell’altare e perfino delle statue dei santi Filippo e Giacomo, nonché del dipinto dell’Ecce Homo, che era in coppia con quello della Addolorata, che è ancora in sito, oltre a diversi altri quadri ed arredi liturgici della congrega e della chiesa.